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domenica 6 aprile 2025

RISCHIO POVERTÀ: MOLTO PIÙ ALTO TRA GLI AUTONOMI CHE TRA I DIPENDENTI

In Italia, i lavoratori autonomi risultano tra i più esposti al rischio di povertà o esclusione sociale. Secondo i dati Istat elaborati dall’Ufficio studi CGIA, il 22,7% dei nuclei familiari con capofamiglia autonomo si trova in condizioni di vulnerabilità economica, contro il 14,8% delle famiglie a guida di un lavoratore dipendente.

Una differenza significativa che fotografa con chiarezza la sofferenza economica di chi lavora in proprio, spesso senza tutele, ammortizzatori sociali o garanzie. Mentre negli ultimi anni il potere d’acquisto dei salari dei dipendenti ha subito un calo sensibile, per le partite IVA il peggioramento è stato ancora più drastico. Complice una contrazione dei fatturati e l’aumento dei costi di gestione, il tenore di vita degli autonomi ha vissuto una netta regressione.

Alcuni potrebbero avanzare dubbi sulla veridicità dei redditi dichiarati dagli autonomi, ma l’indicatore “rischio povertà o esclusione sociale” non si limita ai dati fiscali. Include anche chi vive in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale, o in famiglie a bassa intensità lavorativa. Una fotografia, dunque, più ampia e articolata.

Oltre 5 milioni di partite IVA, metà operano in regime forfettario

Oggi in Italia si contano circa 5,17 milioni di lavoratori indipendenti. Quasi la metà rientra nel regime forfettario: attività senza dipendenti, con un’organizzazione minima e fatturati annui sotto gli 85 mila euro. Si tratta spesso di giovani, donne e persone in età avanzata – soprattutto nel Mezzogiorno – che lavorano a singhiozzo, in modo precario, con scarsi guadagni e senza tutele. Per molti di loro, riuscire a riscuotere quanto spetta è già una sfida.

Dal 2003 a oggi, -30% sul reddito degli autonomi

Secondo i dati CGIA, negli ultimi vent’anni il reddito reale delle famiglie con capofamiglia autonomo è sceso del 30%. Per i dipendenti il calo è stato dell’8%, mentre per i pensionati la situazione è rimasta pressoché stabile. Le ragioni di questa crisi sono molteplici: crisi economiche, contrazione dei consumi, concorrenza della grande distribuzione e dell’e-commerce. A farne le spese sono state soprattutto le micro attività, spesso a conduzione individuale.

E i dazi? Un rischio indiretto anche per gli autonomi

Anche l’introduzione di dazi, come quelli annunciati negli USA, può danneggiare indirettamente gli autonomi italiani. Se queste misure dovessero frenare la crescita economica o alimentare l’inflazione, le fasce più fragili del lavoro autonomo potrebbero pagarne il prezzo. È dunque urgente sostenere la domanda interna, accelerare la piena attuazione del PNRR e proseguire nella riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese.

13,5 milioni di italiani in difficoltà economica

Secondo l’analisi CGIA, nel 2024 sono ben 13,5 milioni le persone a rischio povertà o esclusione sociale in Italia, pari al 23,1% della popolazione. Il dato è allarmante soprattutto nel Mezzogiorno, dove vive il 57% dei soggetti in difficoltà. La Campania è la regione con il maggior numero di persone coinvolte (2,4 milioni), seguita da Sicilia, Lazio e Puglia. Ma se si guarda alla percentuale sulla popolazione residente, è la Calabria a guidare questa triste classifica con un preoccupante 48,8%.

Le categorie più colpite: pensionati e lavoratori autonomi

Nel confronto tra le diverse fonti di reddito familiari, i pensionati sono i più esposti (33,1% a rischio), seguiti dagli autonomi (22,7%) e dai dipendenti (14,8%).

La forbice sociale si allarga, e la povertà tocca anche chi lavora. Serve, oggi più che mai, una nuova attenzione per chi è rimasto indietro.

Ascoltiamo ora il servizio di Miriana Catacchio e il parere di Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi CGIA di Mestre.

domenica 16 marzo 2025

CONTROLLI SU PMI: UN LABIRINTO DI BUROCRAZIA E OSTACOLI INSOSTENIBILI

Essere imprenditori oggi in Italia significa affrontare ogni giorno una sfida che va ben oltre la gestione del proprio business. Il vero nemico non è solo il mercato o la concorrenza, ma un sistema di controlli e burocrazia che rischia di soffocare le piccole e medie imprese. Secondo l’analisi dell’Ufficio Studi CGIA di Mestre, una PMI potrebbe essere soggetta fino a 130 controlli all’anno da parte di ben 22 enti diversi. Una media impressionante: un controllo ogni tre giorni.

PMI SOTTO ASSEDIO: IL PESO DELLA BUROCRAZIA

Chi lavora nella legalità e rispetta le regole viene spesso sottoposto a un controllo continuo e asfissiante. Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza, INPS, INAIL, Ispettorato del Lavoro, Vigili del Fuoco, Comuni e molte altre autorità possono ispezionare le aziende su diversi fronti: fisco, sicurezza sul lavoro, normative ambientali, contratti e adempimenti amministrativi. Il paradosso è che, mentre le imprese regolari vivono sotto la lente d’ingrandimento, chi opera nel sommerso ha molte più probabilità di sfuggire a questi controlli.

Negli ultimi dati disponibili, solo nel 2023, tra verifiche fiscali, accertamenti, ispezioni e lettere di compliance, sono stati coinvolti circa 4 milioni di contribuenti, per la quasi totalità possessori di partita IVA. La percezione diffusa tra gli imprenditori è quella di essere costantemente nel mirino, con il rischio di sanzioni anche per errori formali dovuti alla complessità delle normative.

UN SISTEMA CHE FRENA IL LAVORO E RIDUCE I GUADAGNI

Un’impresa dovrebbe concentrarsi sulla crescita, sull’innovazione e sulla creazione di posti di lavoro. Invece, molte piccole attività passano più tempo a gestire scartoffie e a difendersi da controlli che spesso si sovrappongono. L’enorme quantità di normative, spesso contraddittorie, rende quasi impossibile essere sempre in regola. Il rischio? Un imprenditore può trovarsi sanzionato non per dolo, ma per difficoltà nel districarsi tra le innumerevoli leggi e regolamenti.

In Europa, la situazione italiana appare particolarmente pesante. Tra il 2019 e il 2024, nell’Unione Europea sono state approvate 13.000 nuove norme, mentre negli Stati Uniti, nello stesso periodo, ne sono state promulgate appena 5.500, di cui 2.000 a livello federale. Un divario che evidenzia il peso della burocrazia europea rispetto ad altri sistemi economici.

LE QUATTRO AREE PIÙ COLPITE DAI CONTROLLI

L’analisi della CGIA di Mestre ha suddiviso i controlli in quattro macro-aree:

  • Ambiente e sicurezza sul lavoro: fino a 67 controlli possibili da parte di 13 enti differenti. Riguardano impianti, gestione dei rifiuti, scarichi, antincendio e formazione obbligatoria.
  • Fisco: 30 ispezioni da parte di 6 enti diversi, con verifiche su imposte, IVA, dichiarazioni e adempimenti contabili.
  • Contrattualistica e lavoro: 21 controlli da parte di 4 enti per verificare assunzioni, contributi, sicurezza e contratti.
  • Aspetti amministrativi: 11 possibili verifiche condotte da 9 autorità tra Comune, Regione, Camere di Commercio e altri enti.

SERVONO MENO BUROCRAZIA E PIÙ SEMPLIFICAZIONE

Il sistema attuale non fa altro che scoraggiare gli imprenditori e ridurre la competitività delle PMI italiane. La soluzione? Semplificare le normative, ridurre le sovrapposizioni tra enti, digitalizzare i controlli per renderli meno invasivi e prevedere strumenti di assistenza anziché solo sanzioni. Anche l’Unione Europea si è resa conto dell’eccessiva mole di regolamentazioni e ha promesso interventi per ridurre i costi amministrativi per le imprese.

Il messaggio degli imprenditori è chiaro: vogliono lavorare, crescere e contribuire all’economia, ma per farlo hanno bisogno di regole più chiare e di uno Stato che sia un alleato, non un ostacolo.

Sentiamo ora il servizio trasmesso su Radio Idea e le emittenti del circuito Airplay con il parere di Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi CGIA di Mestre.

Paolo Zabeo

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