giovedì 10 luglio 2025

Molfetta, affonda un motopeschereccio: salvi i pescatori, naufraga un’intera economia.


Un motopeschereccio affondato all’ingresso del porto di Molfetta. Quattro uomini salvi per miracolo. Il pescato, perso. Il lavoro, scomparso. La barca era tutto per loro: strumento di sostentamento, tradizione familiare, identità. Ora rimane solo il mare, che da alleato è diventato ostile.

L’incidente è avvenuto attorno alle 2 di notte del 9 luglio, quando il motopeschereccio molfettese Morfeo, in rientro da una battuta di pesca, ha impattato contro gli scogli della diga "Salvucci", proprio all’ingresso del porto. Le onde, agitate dal vento delle ultime ore, hanno aggravato la situazione. I quattro membri dell’equipaggio, aggrappati agli scogli, sono stati soccorsi dalla Capitaneria di Porto e presi in carico dal 118. Nessuna ferita grave, ma un forte stato di shock. La causa dell’affondamento è ancora sotto indagine da parte dell’Autorità Marittima, che sta analizzando le tracce radar e raccogliendo testimonianze.

Ma dietro questo episodio non c’è solo la malasorte o una valutazione errata della rotta. C’è un sistema che sta affondando lentamente, sotto gli occhi di tutti.

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Il lavoro della pesca è in crisi profonda. I costi per tenere in mare un peschereccio sono ormai proibitivi: il carburante, da solo, brucia i guadagni. E il pescato, quel poco che resta, è sempre meno. In parte per l’inquinamento, in parte per lo stravolgimento dell’ecosistema marino: uno dei principali problemi segnalati dagli operatori è l’invasione del granchio blu, una specie aliena che distrugge i fondali e le reti.

A peggiorare la situazione, ci sono le zone interdette alla pesca, che aumenteranno con l’annunciata realizzazione del più grande parco eolico offshore d’Italia proprio nel tratto di mare pugliese. Un altro segnale che il mare non è più solo dei pescatori.

Nel frattempo avanzano gli allevamenti ittici, con costi più bassi e prodotti a prezzi più accessibili per il consumatore medio. Una concorrenza spietata che erode quel poco mercato rimasto alla pesca tradizionale.

I consumatori, nel frattempo, si trovano di fronte a un paradosso: i prezzi al dettaglio continuano a salire, mentre chi lavora in mare non riesce più a portare a casa il necessario nemmeno per mantenere la barca.

L’affondamento di una barca può sembrare solo un fatto di cronaca. Ma in realtà è il simbolo di un settore che sta scomparendo in silenzio. I quattro pescatori di Molfetta dovranno reinventarsi un lavoro, ma a ben vedere, è l’intero comparto a dover ripensare se stesso — o sarà il mare, un tempo risorsa, a diventare solo un ricordo.

“Thell Jack” di Francesco Caliandro: un noir adolescenziale tra mafia, tradimenti e redenzione

Un esordio sorprendente che fonde ritmo cinematografico e introspezione esistenziale. A soli quindici anni, Francesco Caliandro dà vita a un racconto di criminalità italo-americana ricco di colpi di scena, con un protagonista tormentato e deciso a riscattarsi.

L’associazione culturale “Lo specchio dell’Arte”, diretta da Manuela Montemezzani, è lieta di promuovere “Thell Jack”, il romanzo d’esordio di Francesco Caliandro, giovane autore pugliese nato nel 2009, che con la sua prima opera edita da Youcanprint dimostra una sorprendente maturità narrativa. Un’opera dura e visionaria che affonda nella mitologia della mafia americana per restituirne il lato più umano, fragile e disperato.

Thell Jack è un noir denso, incalzante, punteggiato da dialoghi taglienti, sparatorie improvvise e verità nascoste. Ma è anche un romanzo sull’identità, sul tradimento e sulla possibilità di scegliere il proprio destino. Un libro in cui la malavita diventa metafora della solitudine e del bisogno di essere visti e amati.

IL LIBRO

Thell Jack racconta la parabola di un mafioso italo-americano, nato e cresciuto nel degrado di un quartiere dimenticato, ignorato da tutti, persino da un padre alcolizzato. L’unico modo per farsi notare è entrare nella criminalità. Quando il suo migliore amico Jimmy scompare misteriosamente dopo una notte di sangue, Thell si ritrova coinvolto in un intrigo sempre più pericoloso. L’incontro con Sarah, affascinante e ambigua boss della mafia internazionale, sembra offrirgli un’alleata, ma nulla è come appare.

Nel corso della sua ricerca, Thell scoprirà che Jimmy non si chiama davvero Jimmy, ma Tracuvick, e che dietro ogni relazione si nasconde un doppio gioco. Tradito da tutti, compresa Sarah, Thell cade, letteralmente e metaforicamente. Sopravvive a un attentato, si risveglia in ospedale, e lì ha una visione: è ancora in tempo per cambiare strada. Decide così di abbandonare la criminalità e di ricominciare, lasciandosi alle spalle un mondo che lo ha solo usato.

Con uno stile teso, diretto e sorprendentemente maturoFrancesco Caliandro mette in scena una storia di vendetta, inganno e redenzione, con un protagonista memorabile. Il romanzo unisce l’azione serrata del miglior cinema mafioso americano a riflessioni profonde sul senso della vita, della colpa e della libertà.

«Ognuno di noi arriverà alla fine, ma siamo noi a scegliere quale sarà»
— Thell Jack

L’AUTORE

Francesco Caliandro nasce a Castellaneta nel 2009 e vive a Palagiano con i nonni materni, Concetta e Silvio, a cui deve l’amore per la lettura e la scrittura. È proprio la nonna a trasmettergli fin da piccolo la passione per le storie, stimolandolo a riempire quaderni con racconti originali come Il taxi fantasma. La sua infanzia, segnata da una vicenda familiare difficile — la madre l’ha voluto con forza, nonostante l’opposizione dei parenti paterni — ha alimentato una ricca immaginazione e un profondo desiderio di espressione.

Appassionato di film di mafia e lettore assiduo di Stephen King, Caliandro esordisce giovanissimo con Thell Jack, un romanzo che unisce l’epica criminale americana a una sensibilità narrativa sorprendente per la sua età. Il romanzo è stato pubblicato da Youcanprint ed è già oggetto di attenzione da parte del panorama culturale giovanile italiano.

DETTAGLI PRODOTTO

• TitoloThell Jack
• AutoreFrancesco Caliandro
• EditoreYoucanprint
• Data di pubblicazione23 gennaio 2025
• Lingua: Italiano
• Pagine: 270
• ISBN-13979-1222792491

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lunedì 7 luglio 2025

Nuove Indicazioni Nazionali: Una Scuola per il Futuro tra Visioni Ambiziose e Sfide Reali


Le nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo sono finalmente definitive, e rappresentano il documento di riferimento più importante per la scuola dell'infanzia e del primo ciclo. A una prima lettura, emerge un quadro pedagogico ambizioso e moderno, che disegna una scuola proiettata verso le sfide del futuro, centrata sulla "persona" dello studente e sulla sua formazione integrale.
Il cuore pulsante del documento è una visione olistica dell'educazione, che mira a superare la frammentazione dei saperi. Viene promosso il principio del "non multa, sed multum" (poche cose, ma fatte bene), un invito a privilegiare la profondità delle conoscenze essenziali rispetto a un nozionismo enciclopedico. L'approccio didattico è fortemente laboratoriale e inclusivo, con un pieno inserimento delle discipline STEM e dell'informatica, e l'adozione di modelli come l'Universal Design for Learning (UDL) per garantire a tutti pari opportunità. Anche la valutazione viene ripensata in chiave formativa: non più uno strumento per sanzionare, ma un processo per valorizzare, orientare e promuovere l'autovalutazione.

Ascolta qui il nostro servizio esclusivo

Una visione nobile e condivisibile. Ma è proprio qui che si apre il divario tra la teoria e la pratica.

Dalla Visione alla Realtà: Le Ombre e le Criticità del Percorso

Se la visione è chiara, la sua attuazione si scontra con ostacoli strutturali che non possono essere ignorati. Sono queste le vere sfide su cui si giocherà il successo o il fallimento di questa riforma.

  1. Il Muro della Realtà Materiale: La criticità più evidente è lo scarto tra la scuola ideale descritta nel documento e quella reale. Come si può realizzare un approccio laboratoriale e personalizzato in "classi pollaio" con più di 25 alunni? Come si può promuovere la didattica digitale senza laboratori attrezzati, connessioni internet stabili e dispositivi adeguati per tutti? La visione di una scuola moderna si infrange contro la realtà di un'edilizia scolastica spesso fatiscente e inadeguata.

  2. La Sfida della Formazione Docente: Un cambio di paradigma così profondo esige un corpo docente preparato a sostenerlo. Le Indicazioni richiedono insegnanti che siano progettisti di curricoli, esperti di valutazione formativa, mediatori culturali, integratori di tecnologie. Senza un massiccio, strutturale e continuo piano di formazione iniziale e in servizio, queste linee guida rischiano di rimanere un "libro dei sogni", un documento ammirevole ma inapplicato, lasciato alla buona volontà e alla creatività dei singoli.

  3. Il Paradosso del Sovraccarico: Nonostante il lodevole principio del "non multa, sed multum", il rischio di un nuovo sovraccarico è concreto. L'introduzione o il potenziamento di numerosi ambiti – STEM, Informatica, Latino (LEL), Educazione Civica, Educazione Finanziaria – se non gestiti con un'attenta integrazione, rischiano di frammentare ulteriormente il tempo scuola, costringendo a una trattazione superficiale di tutto e tradendo l'obiettivo di partenza.

  4. La Rivoluzione Culturale della Valutazione: Abbandonare la cultura del voto numerico per una valutazione descrittiva e processuale è una vera rivoluzione culturale. Incontra resistenze non solo tra i docenti, ma anche tra le famiglie, abituate alla presunta chiarezza e semplicità del voto. Questo passaggio richiede tempo, dialogo e un supporto costante alle scuole, che non possono essere lasciate sole in questa transizione.

L'Educazione all'Affettività e la Scelta del Silenzio: la Criticità del "Non Detto"

Un punto chiave, che merita un'analisi approfondita, riguarda i temi dell'educazione all'affettività e delle identità sessuali. Emerge con chiarezza una scelta precisa da parte del Ministero: il silenzio strategico. Nel documento non si trovano mai i termini "orientamento sessuale", "identità di genere", "LGBTQ+" o "omogenitorialità".

Questa assenza non è una svista, ma la creazione di un dispositivo normativo volutamente ambiguo. Al posto di direttive chiare, si utilizzano principi-ombrello, astratti e generici, come "valorizzazione delle differenze", "decostruire stereotipi" e "rispettare le diverse identità".

Ed è proprio qui che si annida la criticità più profonda. Questo vuoto normativo, infatti, non è neutro. Diventa un terreno fertile per le interpretazioni più disparate e, per questo, un meccanismo che genera disuguaglianza. Anziché stabilire un diritto all'informazione e alla tutela valido per tutti, si delega la responsabilità alla discrezionalità del singolo dirigente scolastico.

Questo "Far West" interpretativo è particolarmente preoccupante quando si toccano temi delicati come l'educazione sessuale. Lasciare il campo libero significa permettere che, in alcune realtà, possano essere introdotti approcci pedagogici che molti educatori e famiglie ritengono inappropriati. Ci riferiamo, ad esempio, a una certa visione dell'educazione sessuale che, superando il confine del rispetto e dell'informazione scientifica, spinge verso una "sperimentazione senza tabù". Un approccio che rischia di creare negli adolescenti idee confuse e premature, bypassando il ruolo educativo fondamentale della famiglia.

Una direttiva nazionale chiara e responsabile, invece di creare questo vuoto, dovrebbe stabilire confini precisi, tutelando gli studenti sia dall'oscurantismo sia da un'esposizione a contenuti non adatti alla loro età evolutiva.

Le conseguenze di questa ambiguità sono gravi e prevedibili:

  1. Si crea una "scuola a macchia di leopardo": La tutela e la formazione di uno studente diventano una lotteria geografica e culturale, e non più un diritto universale garantito dallo Stato.

  2. È un'abdicazione di responsabilità politica: Evitando di nominare i temi divisivi, il Ministero evita di prendere una posizione chiara, ma di fatto finisce per tutelare lo status quo e le posizioni più resistenti al cambiamento.

  3. L'ambiguità diventa un alibi per l'inazione (o per l'azione ideologica): La mancanza di un obbligo specifico rende i principi di "rispetto" delle belle parole sulla carta, facilmente ignorabili o, peggio, strumentalizzabili per promuovere agende specifiche.

In conclusione, questa non è una scelta di prudenza, ma un vuoto normativo che mina alla base il principio di equità del sistema scolastico. Lasciare alle interpretazioni individuali temi così cruciali per la crescita e il benessere dei futuri cittadini è una pratica da evitare, perché genera disuguaglianza e rende i diritti fragili e discrezionali.

Il dibattito è aperto, e le domande che ne scaturiscono sono cruciali. Chiediamo a voi, lettori:

  • Questa scelta di "non scegliere" è, a vostro avviso, un atto di prudenza che rispetta l'autonomia delle scuole e le diverse sensibilità familiari?

  • Oppure, come sostengono in molti, questo vuoto normativo è un'abdicazione di responsabilità che, oltre a creare disuguaglianza, apre le porte a derive pedagogiche inappropriate per l'età evolutiva?

  • Un documento quadro nazionale non dovrebbe avere il coraggio di stabilire confini chiari su questi temi, per proteggere gli studenti e dare certezze a scuole e famiglie, invece di lasciare il campo a interpretazioni arbitrarie?

Dite la vostra nei commenti.


  qui il documento integrale

sabato 5 luglio 2025

Eolico a Taranto: Oltre gli Annunci del Governo, le Domande Critiche su Territorio e Profitti


Con toni trionfali, la politica celebra un nuovo, decisivo passo verso il futuro "green" dell'Italia. Una nota stampa diffusa dal deputato Alessandro Colucci di Noi Moderati annuncia che "la firma del decreto interministeriale che individua negli scali portuali di Taranto e Augusta le aree idonee allo sviluppo dell’eolico offshore nazionale rappresenta un passaggio fondamentale". Nel comunicato si dipinge un quadro idilliaco: una fonte di energia dal "potenziale enorme", impianti che "hanno il grande merito di non impattare sul territorio e sul paesaggio", investimenti per 78 milioni di euro e "nuove opportunità occupazionali".
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Una narrazione ufficiale, pronta per i titoli dei giornali, che punta a rassicurare l'opinione pubblica. Tuttavia, è doveroso analizzare criticamente questi annunci, per capire se dietro la facciata si nascondano realtà complesse. Emerge infatti un quadro che, secondo molti osservatori, sembra dominato da logiche di speculazione finanziaria, con impatti ambientali spesso sottaciuti e un modello di sviluppo che tratta i territori come risorse da sfruttare.

"Nessun impatto": un'affermazione che va verificata

L'affermazione secondo cui questi giganti d'acciaio posizionati in mare "non impattano sul territorio e sul paesaggio" è forse la più ottimistica, ma anche quella che richiede maggiore scrutinio. L'impatto non si limita a quello visivo. Esiste un impatto meno evidente ma persistente. Come è intuibile, le pale eoliche, costruite con resine e fibre composite, sono soggette a una costante erosione. Il vento, la pioggia e la salsedine le possono "sfrigolare" incessantemente, con il rischio di liberare nell'ambiente microplastiche e sostanze chimiche come il Bisfenolo A (BPA), un noto interferente endocrino. Studi scientifici, come quelli condotti dall'Università di Strathclyde, hanno già sollevato l'allarme su questa potenziale forma di inquinamento silenzioso che potrebbe contaminare mare, aria e catena alimentare. Si delinea così il paradosso di un'energia definita pulita che potrebbe rilasciare sostanze inquinanti. Un aspetto cruciale che, nella comunicazione ufficiale, sembra non trovare spazio.

A chi giova l'investimento? Il gioco dei giganti finanziari

La nota stampa parla di 78 milioni di euro di investimenti. Sembra una cifra enorme, ma è solo una piccola parte di un business miliardario. Questi progetti faraonici, onshore e offshore, non starebbero in piedi un solo giorno senza due elementi chiave: i massicci finanziamenti pubblici (PNRR in testa) e il capitale dei colossi della finanza globale. Fondi come BlackRock, Vanguard e State Street sono tra i principali motori di questa transizione a livello mondiale. Essi investono dove lo Stato garantisce incentivi e profitti sicuri, ma non è sempre detto che ciò si traduca in un reale beneficio per la comunità.

Il ritorno economico per il territorio rischia di essere, nella migliore delle ipotesi, incerto e temporaneo. Queste centrali hanno una vita utile di circa 20-25 anni, al termine dei quali i costi di smantellamento e bonifica – se mai verranno affrontati seriamente – potrebbero ricadere interamente sulla collettività, molto tempo dopo che i profitti privati saranno stati riscossi e portati altrove. Il timore è che l'obiettivo non sia la sostenibilità a lungo termine, ma il profitto a breve termine, lasciando dietro di sé il "depauperamento del territorio".

Un modello predatorio che si ripete

Taranto non è un caso isolato. È solo l'ultima tessera di un mosaico che sembra replicare un modello predatorio, in espansione su tutta la nazione. Come denuncia il nostro articolo "L'assalto della Sardegna: il sistema energetico sotto inchiesta", l'isola è da anni il laboratorio di questa aggressione, con progetti che minacciano di stravolgere un patrimonio paesaggistico unico al mondo. 

Lo schema è spesso lo stesso: si invoca la "pubblica utilità" per silenziare ogni opposizione. Una volta che questa etichetta viene apposta, come spiegato nell'amaro articolo "Il territorio non è più nostro"(nostro articolo), le comunità locali rischiano di essere espropriate non solo delle loro terre, ma anche del loro diritto di decidere sul proprio futuro. 

E mentre la politica firma decreti a Roma, sul campo la gente si organizza. Comitati come Ulivivo si battono contro la distruzione di aree protette e paesaggi agricoli, mostrando una resistenza che la narrazione ufficiale tende a ignorare. Leggete il nostro articolo.

Il paradosso si estende: anche il fotovoltaico riscalda il pianeta?

Questa logica industriale non si limita all'eolico. Anche il fotovoltaico su larga scala, l'altra icona della "svolta green", nasconde delle criticità. Immense distese di pannelli scuri, sostituendo terreni agricoli o macchia mediterranea, assorbono molta più radiazione solare. Questo fenomeno, legato alla riduzione dell'"effetto albedo" (la capacità di una superficie di riflettere la luce solare), può creare vere e proprie "isole di calore", aumentando la temperatura a livello locale. Paradossalmente, una soluzione pensata per combattere il riscaldamento globale, su scala locale potrebbe contribuire ad aggravarne alcuni effetti.

Siamo di fronte a una transizione ecologica che, invece di curare il pianeta, sembra voler applicare gli stessi modelli industriali e speculativi che ci hanno portato a questa crisi. Ci dicono che è innovazione, ma a molti sembra solo vecchio colonialismo energetico. La domanda, dunque, non è essere a favore o contro le rinnovabili. La domanda è: a chi giova realmente questa transizione? Perché, a guardare bene, i profitti sembrano destinati ai soliti noti, mentre i costi ambientali e sociali restano, come sempre, a carico di tutti noi.

martedì 1 luglio 2025

Bollette, una stangata a due velocità: perché le piccole imprese pagano il doppio?


In Italia, il costo dell'energia non è uguale per tutti. Un'analisi dell'
Ufficio studi della CGIA mette in luce una disparità "spaventosa" che colpisce al cuore il tessuto produttivo del Paese: le piccole e micro imprese. Se per l'elettricità pagano il 55% in più rispetto alle grandi industrie, per il gas il divario raddoppia, con bollette che costano il doppio. Una penalizzazione che non solo frena la competitività, ma si intreccia con un'altra emergenza, quella sociale, della povertà energetica, che colpisce oltre 5 milioni di italiani e vede tra i più vulnerabili proprio i lavoratori autonomi.

Costo del gas in Italia

Confronto tra piccole imprese e grandi imprese

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Eurostat

Ascolta il nostro servizio in onda su Ideanews:

Analisi del divario: i numeri di una penalizzazione

Il rapporto della CGIA, basato su dati Eurostat, è impietoso. Nel 2024, una piccola impresa italiana ha pagato il gas mediamente 99,5 euro a Megawatt-ora (MWh), a fronte dei 47,9 euro/MWh sborsati da una grande impresa. Un differenziale del 108% che, sebbene i prezzi generali siano scesi rispetto ai picchi della crisi, si è allargato rispetto al passato.

La situazione non è migliore sul fronte dell'energia elettrica: l'anno scorso, le piccole aziende hanno affrontato un costo di 218,2 euro/MWh, contro i 140,4 euro/MWh delle realtà più grandi.

Come sottolinea la CGIA, questo divario esiste anche in altri Paesi europei, ma in Italia assume contorni drammatici. Le imprese con meno di 20 addetti costituiscono il 98% del totale e danno lavoro a circa il 60% degli occupati del settore privato. Penalizzare loro significa, di fatto, penalizzare l'intera spina dorsale dell'economia nazionale, rendendo la situazione italiana "la più insopportabile d'Europa".

Confronto costo gas tra piccole imprese e grandi imprese nei principali Paesi dell’Eurozona (valori in euro per MWh)

 

AREA EURO

Germania

Francia

Spagna

ITALIA

Piccole

94,8

95,0

103,9

48,5

99,5

Grandi

50,5

57,0

46,4

42,5

47,9

Diff. %
Piccole/Grandi

+88%

+67%

+124%

+14%

+108%

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Eurostat

Perché i piccoli pagano di più? Le cause della disparità

Il report individua una serie di ragioni, sia strutturali che di mercato, che spiegano perché artigiani, negozianti e piccoli imprenditori siano così svantaggiati:

  1. Peso delle componenti fisse: In Italia, oneri di sistema, costi di rete e tasse pesano per circa il 40% sulla bolletta di una piccola impresa, mentre per una grande azienda l'incidenza scende al 17%. Questo perché i costi fissi si "spalmano" su consumi molto più bassi.
  2. Potere contrattuale nullo: Le grandi industrie acquistano volumi enormi di energia, spesso tramite broker specializzati, ottenendo tariffe vantaggiose e contratti pluriennali stabili. Le PMI, al contrario, hanno un potere negoziale quasi inesistente e sono soggette alle fluttuazioni del mercato.
  3. Agevolazioni per i "grandi": Le aziende energivore beneficiano per legge di sconti su accise e oneri, agevolazioni a cui le piccole imprese raramente possono accedere.
  4. Costi di distribuzione: La capillare diffusione delle micro imprese sul territorio, anche in aree meno servite, può far lievitare i costi di distribuzione.

Le conseguenze: dai distretti produttivi alla povertà energetica

Questo "caro bollette selettivo" ha un impatto diretto e devastante. Da un lato, mette a rischio interi settori energivori (vetro, ceramica, metalli, plastica, alimentare) e distretti produttivi che sono il motore dell'export italiano, come il metalmeccanico di Lecco, le piastrelle di Sassuolo o il vetro di Murano.

Dall'altro, il problema si trasferisce dal piano aziendale a quello familiare, creando un circolo vizioso. Come evidenziato dalla CGIA sulla base dei dati dell'Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica (OIPE), sono quasi 2,4 milioni le famiglie in povertà energetica, per un totale di 5,3 milioni di persone. La situazione è particolarmente critica nel Mezzogiorno (13,8% delle famiglie, con picchi in Calabria del 19,1%).

L'identikit del capofamiglia in difficoltà è emblematico: disoccupato, pensionato o, appunto, lavoratore autonomo. Moltissimi artigiani e commercianti si trovano a pagare due volte la crisi energetica: la prima in negozio, per tenere accese le luci e l'insegna; la seconda a casa, per riscaldare la propria abitazione.

Commento e consigli: cosa si può fare?

Il quadro dipinto dalla CGIA non è solo un'analisi economica, ma un allarme sociale. L'asimmetria dei costi energetici mina il principio di una concorrenza equa e indebolisce il modello di sviluppo italiano, fondato proprio sulla micro-imprenditorialità diffusa. È evidente che affidarsi unicamente alle dinamiche di un mercato che favorisce i grandi "player" non è una soluzione sostenibile.

Per invertire la rotta, sono necessari interventi strutturali. Ecco alcuni consigli e possibili direzioni:
  1. Promuovere i Gruppi d'Acquisto di Energia: Incentivare e facilitare la creazione di consorzi o gruppi d'acquisto tra PMI. Aggregando la domanda, anche le piccole imprese possono aumentare il loro potere contrattuale e accedere a tariffe migliori, simili a quelle industriali.
  2. Riformare gli Oneri di Sistema: È necessario rivedere la struttura della bolletta per le piccole utenze. Si potrebbe pensare a una rimodulazione degli oneri di sistema che ne riduca l'incidenza per le fasce di consumo più basse, spostando parte del peso su quelle più alte o trovando fonti di finanziamento alternative per le voci che oggi gravano sulla bolletta (come gli incentivi alle rinnovabili).
  3. Incentivi per l'Efficienza e l'Autoproduzione: La migliore energia è quella non consumata. È fondamentale potenziare gli incentivi (come crediti d'imposta o contributi a fondo perduto) per aiutare le PMI a investire in efficienza energetica (cappotto termico, infissi, illuminazione a LED) e in impianti di autoproduzione, come il fotovoltaico. Questo ridurrebbe la loro dipendenza dalla rete e la loro vulnerabilità ai prezzi.
  4. Potenziare il Bonus Sociale per le famiglie: Per contrastare la povertà energetica, è cruciale rendere il bonus sociale più efficace, automatico e accessibile, garantendo che raggiunga tutte le famiglie che ne hanno diritto, comprese quelle dei lavoratori autonomi in difficoltà.

Stima famiglie e individui in povertà energetica (anno 2023)

Rank per inc. %

Regioni e ripartizioni

N° famiglie in povertà energetica
(*)

N° persone

in povertà

energetica

Inc. %

delle famiglie in povertà energetica

1

Calabria

156.639

348.794

19,1

2

Basilicata

42.620

94.274

17,8

3

Molise

23.362

50.560

17,6

4

Puglia

289.533

672.401

17,4

5

Sicilia

297.503

676.622

14,2

6

Sardegna

93.620

194.980

12,5

7

Trentino Alto Adige

54.974

122.594

11,4

8

Campania

215.946

533.387

9,6

9

Abruzzo

47.617

105.923

8,4

10

Piemonte

155.909

325.205

7,7

11

Valle d’Aosta

4.690

9.398

7,7

12

Lombardia

329.925

715.998

7,2

13

Emilia Romagna

146.685

313.952

7,1

14

Liguria

53.698

104.926

7,0

15

Veneto

134.959

303.624

6,3

16

Toscana

104.311

225.420

6,2

17

Lazio

155.531

329.216

5,8

18

Friuli Venezia Giulia

31.940

66.447

5,6

19

Umbria

19.032

41.526

4,9

20

Marche

32.137

72.164

4,9

 

ITALIA

2.390.631

5.307.411

9,0

 

NORD OVEST

544.222

1.155.527

7,3


NORD EST

368.559

806.617

7,0


CENTRO

311.011

668.325

5,8

 

MEZZOGIORNO

1.166.839

2.676.942

13,8

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati OIPE e Istat

In conclusione, affrontare il caro-energia per le PMI non è solo una questione di giustizia economica, ma una mossa strategica per la sopravvivenza e la prosperità dell'intero sistema Italia.

Liberamente tratto dalla Analisi dell'Ufficio studi della CGIA su dati Eurostat e OIPE.

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