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sabato 16 agosto 2025

Summit Trump-Putin in Alaska: cosa significa per l’Italia e il riarmo europeo

Il bilaterale tra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska si è concluso senza alcuna intesa formale, lasciando dietro di sé più dubbi che certezze. L’esclusione dell’Ucraina dal tavolo, la retorica ambigua di Trump (“some headway”, ma “no deal until there’s a deal”) e la mancanza di un percorso chiaro verso la pace hanno dato l’impressione di un summit interlocutorio, se non addirittura fallimentare.

Più che un passo avanti, l’incontro ha rischiato di minare la coesione occidentale, normalizzando i rapporti con Mosca senza affrontare il tema centrale: l’aggressione russa in Ucraina. Questa dinamica, basata su approcci bilaterali e personalistici, appare in netto contrasto con l’idea di una sicurezza collettiva che l’Europa – e l’Italia – dichiarano di voler costruire.

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La corsa al riarmo in Europa
In questo clima di incertezza, molti paesi europei hanno imboccato la strada del riarmo massiccio. La spesa militare complessiva dell’Unione Europea è passata da 218 miliardi nel 2021 a 326 miliardi nel 2024.

  • La Germania ha varato un fondo speciale da 100 miliardi di euro, registrando un aumento del 28% della spesa nel solo 2024.
  • La Francia incrementa costantemente il budget, puntando a consolidare la propria forza strategica autonoma.
  • La Polonia ha quasi raddoppiato la spesa, superando il 4% del PIL, diventando così l’avamposto più bellicista.
  • L’Italia, pur crescendo più lentamente, partecipa comunque a questa dinamica, senza però ottenere un ruolo di primo piano.

Tre gli scenari possibili:

  • Convergenza europea – una vera difesa comune che dia senso alle spese.
  • Frammentazione – ogni Stato corre per sé, con Roma costretta a inseguire.
  • Disillusione – soldi spesi senza deterrenza né sicurezza, mentre le grandi decisioni restano in mano a Washington, Mosca e Pechino.

Il Documento Programmatico Pluriennale della Difesa (DPP)
Il DPP 2024-2026 conferma l’impegno dell’Italia a raggiungere il 2% del PIL per la Difesa, giustificando la scelta con la necessità di affrontare conflitti ad alta intensità e modernizzare lo strumento militare.
Ma questo investimento miliardario rischia di diventare un atto di fede in un’alleanza – la NATO – che mostra segni di fragilità, come evidenziato dal summit in Alaska. L’Italia, in sostanza, mette risorse ingenti in un sistema che potrebbe non offrire le garanzie attese.

Le incognite ucraine
La posizione italiana è resa ancora più delicata dalle incertezze interne a Kiev. Pur restando saldo al potere, Zelensky ha compiuto numerose epurazioni e rimpasti all’interno del governo e dei servizi di sicurezza, spesso motivati dalla lotta alla corruzione e al tradimento. Questo quadro alimenta dubbi sulla stabilità dell’alleato a cui Europa e Italia hanno vincolato una parte importante della loro politica di difesa.

L’Italia davanti a un bivio
La scelta è dunque complessa:

  • Seguire pedissequamente la linea NATO, raggiungendo il 2% e sacrificando risorse interne.
  • Spingere per una vera difesa comune europea, riducendo duplicazioni e aumentando il peso politico di Roma.
  • Scegliere una via più neutrale e pacifista, rispettando gli impegni minimi ma puntando soprattutto sulla diplomazia, sulla mediazione e sul ruolo storico dell’Italia come ponte nel Mediterraneo.

Conclusione: quale futuro per l’Italia
Per i cittadini italiani, la prospettiva non è rosea: miliardi destinati al riarmo in un contesto economico difficile, mentre sanità, istruzione e welfare arrancano. E il rischio concreto è di trovarsi coinvolti in dinamiche belliche senza avere né la forza né l’interesse a reggerle.
Il summit di Anchorage ha mostrato che i grandi continuano a muoversi per conto proprio, mentre l’Europa rincorre. L’Italia, priva della potenza economica di Berlino o della forza nucleare di Parigi, dovrebbe evitare di inseguire una corsa che non può vincere.
La via più saggia sarebbe quella di un impegno difensivo misurato, accompagnato da una forte iniziativa diplomatica. Un approccio neutrale, simile a quello svizzero, darebbe all’Italia la possibilità di riaffermare la propria identità storica: non come potenza militare, ma come nazione capace di costruire ponti, mediare conflitti e difendere la pace.

domenica 3 agosto 2025

Verso una Guerra Mondiale con il Consenso dell’Europa: Riarmo per le élite, Povertà per i Popoli


Il governo italiano ha chiesto un prestito da 14 miliardi per comprare armi!

Il governo italiano ha avanzato una richiesta per accedere al fondo europeo SAFE per la difesa, al fine di ricevere finanziamenti nel settore bellico. La richiesta prevedrebbe l’accesso a 14 miliardi di euro in cinque anni, con rimborsi da spalmare in 45 anni. Il fondo SAFE è una delle iniziative previste dal piano di riarmo lanciato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Esso prevede la raccolta di una somma fino a 150 miliardi di euro sui mercati, da erogare sotto forma di prestiti diretti agli Stati che ne fanno richiesta, e contempla l’avvio di procedure d’appalto comuni e semplificate. Hanno aderito al fondo altri 17 Paesi dell’UE, 12 dei quali hanno chiesto anche una deroga al Patto di Stabilità per aumentare i propri investimenti nell’industria delle armi al di fuori dei vincoli di debito da esso previsti.

La richiesta di adesione al fondo SAFE da parte dell’Italia sarebbe stata presentata nella notte di martedì 29 luglio, in seguito a un vertice tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini e, tra gli altri, il ministro della Difesa Guido Crosetto. L’arrivo della domanda è stato confermato dal Commissario Europeo alla Difesa, Andrius Kubilius, che ha annunciato il «forte interesse» dei Paesi UE verso il fondo. Da quanto comunica Kubilius, le richieste di adesione mobiliterebbero un totale di «almeno 127 miliardi di euro» in potenziali appalti di difesa. «La tempestiva manifestazione di interesse consentirà alla Commissione di valutare la domanda e di prepararsi alla raccolta di fondi sui mercati dei capitali», si legge nel comunicato della Commissione, che ricorda anche che il termine per la presentazione formale delle richieste di adesione a SAFE è fissato al 30 novembre 2025. I dettagli delle richieste dei singoli Paesi non sono ancora noti, ma secondo le anticipazioni della stampa l’Italia avrebbe avanzato domanda per accedere a 14 miliardi per finanziare programmi di difesa già pianificati nel quinquennio 2026-2030.

Il fondo SAFE è una delle misure principali del piano di riarmo della Commissione Europea.

SAFE ha l’obiettivo di sostenere appalti congiunti tra gli Stati membri, incentivando la cooperazione industriale nel settore della difesa. I prestiti saranno erogati agli Stati che ne faranno richiesta sulla base di piani nazionali. Il piano si articola in due categorie principali di spese ammissibili: la prima riguarda munizioni, missili, sistemi di artiglieria e capacità di combattimento terrestre, inclusi droni e sistemi anti-drone; la seconda comprende difesa aerea e missilistica, capacità navali, trasporto aereo strategico, sistemi spaziali e tecnologie basate sull’intelligenza artificiale. Per richiedere i finanziamenti a un progetto, almeno il 65% del suo valore deve provenire da aziende del settore della difesa situate nell’UE, in Ucraina o in un Paese dello Spazio Economico Europeo o dell’Associazione Europea di Libero Scambio. La quota di componenti provenienti da Paesi terzi non potrà superare il 35%, a meno che non si tratti di subappalti inferiori al 15% del valore complessivo. In questo quadro, l’Unione ha aperto anche alla partecipazione di Paesi terzi selezionati, tra cui l’Ucraina e il Regno Unito.

Sono in tutto 18 i Paesi dell’UE che hanno chiesto l’accesso al fondo SAFE per la difesa; accanto all’Italia, figurano infatti anche Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Spagna e Ungheria. A questi si aggiungono i 16 Paesi che hanno chiesto una deroga al Patto di Stabilità per aumentare la spesa per la difesa nei prossimi anni. Tale misura, anch’essa centrale nel piano di riarmo, prevede che i Paesi aumentino la spesa per la difesa fino all’1,5% del proprio prodotto interno lordo annuo per quattro anni, ignorando i vincoli del Patto di Stabilità e ricorrendo a nuovo debito. Tale sospensione, sostiene von der Leyen, potrebbe generare fino a 650 miliardi di euro nel prossimo quadriennio che, uniti ai 150 messi a disposizione con SAFE, porterebbero il totale delle risorse mobilitate per il piano a 800 miliardi. A chiedere l’accesso a questa seconda misura sono stati, precisamente, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Ungheria.

Articolo di Dario Lucisano fonte: L'Indipendente

Chi ci guadagna da tutto questo? Di certo non i cittadini, che vedono aumentare le spese militari mentre sanità, scuola e servizi sociali arrancano. L'Europa delle élite sembra sempre più schierata con interessi estranei ai popoli, asservita a logiche belliche imposte da organismi sovranazionali.

La stampa tace, la politica obbedisce, e intanto la guerra diventa una realtà accettabile, quasi necessaria. Ma noi non ci stiamo.

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