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domenica 7 settembre 2025

L'Identità Digitale Europea: la falsa bandiera della protezione

Il Digital Services Act (DSA), presentato ufficialmente come una legislazione per la protezione degli utenti e in particolare dei minori, introduce un elemento che va ben oltre la sicurezza: l'Identità Digitale Europea. Questo strumento, che si propone di verificare l'età e l'identità online, è percepito da molti come il cavallo di Troia per un controllo capillare e totale delle nostre vite digitali.

L'obiettivo dichiarato è l'accesso sicuro ai servizi online, ma la realtà dei fatti è che questo sistema va a creare un unico punto di raccolta per una quantità spropositata di dati personali. Non si tratta solo di confermare l'età, ma di un vero e proprio portafoglio digitale che può includere informazioni sensibili come titoli di studio, licenze, cartelle cliniche e dati biometrici. L'intero sistema, esteso a tutti gli utenti senza distinzione di età, dai 16 ai 90 anni e oltre, rappresenta una centralizzazione senza precedenti che solleva un allarmante interrogativo sulla nostra sovranità personale.

Le piattaforme che non si conformano a queste nuove regole rischiano sanzioni altissime, fino al 10% del loro fatturato globale annuo. Una pressione economica così forte spinge i giganti del web ad adeguarsi rapidamente, rendendoli complici in un sistema che, sebbene presentato come uno strumento di tutela, rischia di soffocare la libertà di espressione e il diritto all'anonimato online.

No Grazie! Un monito da Roberto Nuzzo

Come sottolinea Roberto Nuzzo, maresciallo dell'Aeronautica Militare nella Riserva, il DSA e il Digital Identity Wallet non sono altro che una "pericolosa leva per la sorveglianza e il controllo totale". Presentati sotto la "falsa bandiera" della protezione, questi strumenti sembrano voler rendere inevitabile la nostra partecipazione a un sistema che ci rende tracciabili in ogni nostra attività online, trasformando la navigazione nel web in una costante perdita di privacy.

Se non accettato dalla maggioranza degli utenti, questo progetto fallirà. L'unica risposta possibile, di fronte a un'insidiosa normalizzazione del controllo digitale, è la resistenza. La nostra ferma e irremovibile risposta a questa ennesima invasione della libertà è: No Grazie!

L'intervista completa di Roberto Nuzzo è disponibile qui:

e su Facebook:


martedì 5 agosto 2025

L'Italia nel mirino: un attacco coordinato verso la recessione

Una strategia silenziosa ma efficace sta minando l'Italia dalle sue fondamenta. Gli attacchi non arrivano con i carri armati, ma con vincoli, piani economici, regole ambientali e politiche energetiche imposte dall'alto. L'obiettivo: condurre l'Italia verso una recessione sistemica, controllata e apparentemente inevitabile.

Dalla Sardegna parte l'assalto

Secondo diverse fonti, compresi analisti geopolitici e attivisti locali, la Sardegna è la regione prescelta per iniziare la demolizione del comparto agroalimentare italiano. Lì si concentrano progetti massivi di parchi eolici e fotovoltaici estesi che non si limitano a deturpare il paesaggio, ma consumano suolo fertile e modificano i microclimi. Generano riscaldamento locale, turbolenze, e rilasciano microplastiche nelle aree circostanti, effetti ambientali finora sottostimati. I territori vengono espropriati, gli alberi abbattuti, gli allevamenti – inclusi quelli di bestiame per latte e prodotti caseari – scoraggiati con normative sempre più stringenti. La Sardegna, con la sua posizione strategica e le sue risorse, è il terreno di prova perfetto.

Produzione agricola sotto attacco

Grano, olio, vino, frutta, ortaggi, latte e derivati: l’intero sistema agricolo e zootecnico nazionale è sotto pressione. L’obiettivo è chiaro: azzerare o assorbire la produzione italiana in favore di grandi gruppi multinazionali e organismi sovranazionali, già ampiamente finanziati da fondi che in passato hanno sostenuto regimi e conflitti.

Il ruolo della moneta e dei vincoli europei

L’euro, una moneta privata nelle mani di poteri sovranazionali, mantiene l’Italia ostaggio. Il sistema è progettato per collassare e ricostruirsi secondo nuovi parametri, ma il momento del crollo è quello di massimo pericolo. Da qui l'urgenza di informare, formare, resistere.

Geoingegneria e strategie climatiche sospette

Dietro le narrazioni ufficiali sul cambiamento climatico si muovono interessi economici e tecnologici. Progetti di geoingegneria, tecnologie di manipolazione atmosferica, e promozione sistematica del panico climatico sembrano giustificare l’avanzata di infrastrutture invasive come le turbine eoliche o i mega-impianti fotovoltaici. Queste tecnologie, oltre a deturpare il paesaggio, alterano i flussi d’aria, generano turbolenze, surriscaldano l’ambiente e rilasciano nell’atmosfera microplastiche dovute all’usura delle pale, con conseguenze ecologiche ancora poco studiate.

Riscaldamento globale e distorsioni dell’informazione

Anche negli Stati Uniti, il clima di disinformazione è fitto: la Climate Change and Health Initiative è stata depennata dai siti istituzionali, mentre si dedicano spazi alle teorie sulle "scie chimiche", a volte cavalcate anche da figure governative. In Italia, intanto, si legittimano operazioni che mettono in pericolo la biodiversità, l’agricoltura e la salute.

Turismo in declino e città abbandonate

Le grandi città italiane vengono svuotate dai turisti per colpa della percezione di insicurezza (borseggi, rincari, criminalità), per l'overtourism mal gestito, per il degrado delle infrastrutture, per la crescente invivibilità dovuta all’inquinamento, all’assenza di verde urbano (dovuto anche all’abbattimento sistematico degli alberi da parte dei comuni) e a una narrazione mediatica che scoraggia le visite. I problemi di trasporto, l’aumento dei prezzi, la mancanza di servizi adeguati e la difficoltà di accesso ad alcune destinazioni contribuiscono ulteriormente al declino.

Emergenza incendi e distruzione ambientale

Gli incendi, sempre più numerosi e spesso dolosi, servono da giustificazione per nuove speculazioni edilizie o per piazzare impianti energetici “green” in aree precedentemente protette. La logica è semplice: distruggi prima, ricostruisci dopo secondo un nuovo piano.

Vaccini, sanità e controllo sociale

La narrazione unica sui vaccini mRNA e i silenzi su eventi avversi contribuiscono a un clima di paura e di sfiducia crescente verso le istituzioni sanitarie. Mentre si parla di innovazione, intere filiere vengono rallentate, intere categorie di lavoratori penalizzate, spesso senza reale motivazione scientifica. La rinuncia alle cure da parte dei cittadini è in aumento, sia per motivi economici che per le lunghe liste d’attesa, mettendo a rischio la salute pubblica, specialmente nelle fasce più deboli. A ciò si aggiungono difficoltà per cittadini non UE nell’ottenere visti per cure mediche in Italia e un rafforzamento dei sistemi sanitari concorrenti all’estero.

PNRR e nuovo indebitamento mascherato

Le grandi opere finanziate dal PNRR – spesso inutili o imposte – rappresentano un nuovo indebitamento occulto. L’Italia pagherà caro queste scelte nei prossimi decenni, con tasse, austerità e svendite del patrimonio pubblico.

Italia sotto attacco commerciale e industriale

Dal 1° agosto sono entrati in vigore dazi del 15% sulle merci europee dirette negli USA. L’Italia, che considera gli USA il terzo mercato di esportazione, subirà perdite stimate fino a 22,6 miliardi di euro. Le aziende italiane, già scoraggiate da burocrazia, corruzione, incertezza normativa e assenza di meritocrazia, preferiscono investire all’estero, lasciando il Paese privo di innovazione e competitività.

L'Italia polveriera: basi NATO e instabilità geopolitica

L’Italia ospita decine di basi militari statunitensi e NATO, che la rendono un bersaglio strategico in caso di conflitto. La militarizzazione del territorio non ha portato sviluppo, ma insicurezza e dipendenza da poteri esterni. Alcuni analisti parlano apertamente di una polveriera pronta a esplodere.

Conclusione: è ora di reagire

Non è più il tempo di attendere o sperare. È il momento di agire. Informarsi, organizzarsi, condividere conoscenze. Non possiamo permetterci di delegare a chi ha già dimostrato di non volere il bene dell’Italia. È il momento di cambiare gioco e riscrivere le regole. Per noi, per i nostri figli, per il futuro.

Nota dell'autore:
Questo articolo è volutamente provocatorio e ha lo scopo di stimolare riflessioni e discussioni su temi spesso sottovalutati. Invitiamo chiunque abbia opinioni diverse o desideri portare dati alternativi a condividerli nei commenti: il confronto è il primo passo per costruire consapevolezza.

(LC)

domenica 20 luglio 2025

Italia all’incrocio: tra Green Deal e speranza industriale

Un manifesto per difendere PMI e automotive

«Il bilancio europeo 2028–2034 è un bivio storico. L’Italia, che finora ha mostrato un cuore di panna verso l’Ue, non può limitarsi a prenderne atto: deve condizionarlo… Se il prossimo bilancio non prevede la cancellazione definitiva del Green Deal e un piano industriale strutturato per il rilancio dell’automotive, il governo italiano non deve firmarlo».

Lo ha dichiarato Stefano Ruvolo, presidente di Confimprenditori, in modo netto e senza giri di parole: «Il palco è un onore, non un diritto»: così il nostro Paese non può più fare da comparsa, ma assumere un ruolo di protagonismo in Europa.

1. Dal comunicato alla realtà: cosa c’è sul campo

Confimprenditori punta il dito contro un Green Deal ritenuto oggi «ideologico, miope e privo di basi industriali», che sta gravando sulle PMI dell’indotto automotive, costrette a chiudere o licenziare. A suo avviso, la Cina sta invadendo il mercato europeo con auto elettriche a basso costo — e questo senza un’adeguata strategia del Vecchio Continente. Ruvolo aggiunge: «Il governo ha l’occasione di incidere davvero, di passare dalle parole ai fatti».

2. Il coro europeo di allarme

L’Italia non è sola in questa battaglia.

  • Il ministro dell’Industria Adolfo Urso ha definito il divieto UE del motore a combustione a partire dal 2035 una «pazzia», in grado di minacciare centinaia di migliaia di posti di lavoro, chiedendo una revisione o almeno flessibilità nell’applicazione.

  • La premier Giorgia Meloni ha messo in guardia contro una “desertificazione industriale” dell’Europa, chiedendo di considerare combustibili alternativi come biofuel e idrogeno e una valutazione delle emissioni sul ciclo di vita completo del veicolo.

  • Anche il Parlamento europeo ha riconosciuto il problema, approvando modifiche alla normativa CO₂ che concedono più tempo alle imprese per adeguarsi.

3. Le ragioni del dissenso

Institutional research rivela che il Green Deal impone alle auto nuove (fossil‑fuel) un’inesorabile transizione all’elettrico entro il 2035. Tuttavia, molte PMI europee faticano a sostenere l’innovazione richiesta, sia per costi elevati sia per gap tecnologici rispetto ai giganti cinesi o statunitensi. I costi di adeguamento normativo pesano moltissimo: basti pensare che le direttive ambientali impongono spese medie di centinaia di euro a impresa.

4. Serve un piano industriale europeo strutturato

Secondo Ruvolo, la risposta non può essere solo ideologica: ci vuole un vero piano industriale europeo, con investimenti mirati, incentivi alle filiere locali e la neutralità tecnologica. Solo così si potrà competere con chi, come la Cina, produce auto elettriche a costi competitivi sfruttando economie di scala e manodopera a basso costo.

5. L’ultima chiamata: Italia protagonista o comparsa?

Il 17 luglio a Roma, il messaggio è stato chiaro: «senza voto favorevole dell’Italia quel bilancio non potrà passare». È una mossa audace: un governo che si schiera contro l’intera architettura del Green Deal non lo si vedeva da tempo. Confimprenditori invita a trasformare questa dichiarazione in pratica politica — non più “camerieri” ma “capotavola” in Europa.

6. Conclusione: l’ora della responsabilità

Lo slancio europeo per la decarbonizzazione è sacrosanto, ma un approccio rigido rischia di spogliare l’Europa della sua linfa produttiva. Quello italiano, allineato a numerosi partner, chiede equilibrio tra transizione verde e sicurezza industriale, tra ecosostenibilità e redditività.

Il comunicato di Ruvolo è una chiamata alle armi: difendere le nostre imprese, non subire ancora un’agenda imposta da Bruxelles. Adesso spetta al governo, e all’Italia, decidere se restare spettatori o diventare finalmente attori davvero protagonisti del nuovo corso europeo.

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