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venerdì 12 settembre 2025

IT-Wallet, sì del Garante privacy alla sperimentazione: il primo passo verso il controllo totale


Il Garante approva la sperimentazione dell’IT-Wallet, ma i rischi di controllo totale e moneta digitale obbligatoria sono altissimi.

Ascolta il nostro esclusivo servizio:


Premessa
Arriva il via libera alla sperimentazione dell’IT-Wallet, il portafoglio digitale italiano che promette di semplificare la vita dei cittadini. In realtà, dietro questa veste rassicurante si nasconde un progetto che rischia di trasformarsi in uno strumento di controllo senza precedenti, con conseguenze pesantissime sulla libertà personale, sanitaria ed economica. Non è fantascienza: in alcune città della Cina sistemi simili hanno già dimostrato come, con un clic, sia possibile bloccare gli spostamenti, impedire l’accesso a servizi essenziali o paralizzare attività economiche.

Notizia
Parere favorevole del Garante privacy su due schemi di decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri relativi al Sistema di portafoglio digitale italiano (IT-Wallet), previsti dal programma di attuazione del PNRR. L’Autorità, data la complessità dei trattamenti posti in essere e dei rischi elevati presenti, ma in spirito di collaborazione istituzionale, ha chiesto al Dipartimento per la trasformazione digitale di approntare specifiche garanzie a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati.

Il Sistema IT-Wallet intende semplificare l’accesso ai servizi pubblici e privati, consentendo una gestione più sicura dell’identità digitale e dei documenti personali e facilitando l’interazione tra cittadini, amministrazioni pubbliche e aziende. Proprio come un portafoglio fisico, l'IT-Wallet conterrà documenti in formato digitale da esibire all’occorrenza. In futuro, il Sistema sarà progressivamente aggiornato per garantire la compatibilità con le soluzioni europee di identità digitale (EUDI Wallet).

In questa fase di sperimentazione, per gli utenti che ne faranno richiesta, saranno disponibili le informazioni destinate ad attestare l’ISEE, il titolo di studio e accademico, i certificati di residenza, godimento dei diritti politici e iscrizione alle liste elettorali, la tessera sanitaria, la patente di guida e la carta europea della disabilità.

Le garanzie introdotte riguardano soprattutto l’individuazione dei ruoli dei soggetti coinvolti nei trattamenti e la definizione di misure volte ad evitare trattamenti ulteriori rispetto a quelli necessari per il funzionamento dell’IT-Wallet.

Il Garante, nel dare parere positivo, ricorda che sarà chiamato a esaminare le misure tecniche e organizzative adottate da un decreto del Dipartimento per la trasformazione digitale per assicurare il rispetto dei principi del GPDR e garantire un livello di sicurezza adeguato ai rischi, all’esito della valutazione d’impatto sulla protezione dei dati. L’Autorità dovrà anche essere consultata in merito al regolamento sulle procedure amministrative necessarie alla registrazione al Sistema e sul decreto relativo all’utilizzo dei cosiddetti Servizi Remunerativi, quelli forniti – a pagamento – dalle imprese.

Il Garante ha infine chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri una relazione al termine del periodo di sperimentazione, che segnali, in particolare, le eventuali criticità rilevate e le misure individuate per porvi rimedio.

Conclusione
Il rischio è evidente: dietro la maschera della semplificazione burocratica si prepara un modello di controllo centralizzato, capace di limitare e condizionare la vita quotidiana di ogni cittadino. Una volta che il sistema sarà diffuso, collegarlo al portafoglio digitale e poi alla moneta digitale sarà solo questione di tempo. Più persone aderiscono, più diventerà difficile opporsi; meno aderiscono, più aumenta la possibilità che il progetto fallisca o venga ridimensionato.

Ecco perché il consiglio è chiaro: non aderire. È l’unico modo per impedire che un esperimento presentato come innocuo diventi domani una gabbia obbligatoria che rischia di soffocare libertà, autonomia e diritti fondamentali.

mercoledì 13 agosto 2025

Auto elettriche 2025: incentivi “green” o regalo miliardario alle case auto? Chi incassa i profitti e chi resta con il conto in mano


Gli incentivi statali per l’acquisto di auto elettriche, come quelli previsti nel 2025 per le “zone urbane residenziali” (previsti dal Decreto Attuativo MIMIT in attuazione del PNRR e del DPCM n. 361/2024), sono presentati come una spinta verso la sostenibilità, ma i 597 milioni di euro del PNRR sono soldi pubblici: li paghiamo tutti. 
Ascolta il nostro servizio in onda su Radio Idea e le emittenti del Circuito Airplay:

Il contributo fino a 11.000 euro per privati e 20.000 euro per microimprese sembra generoso, ma alimenta un mercato ancora elitario: i prezzi restano alti e gli incentivi finiscono per gonfiare i listini. Chi possiede auto vecchie ma ancora funzionanti viene escluso per via della rottamazione obbligatoria fino a Euro 5.

I problemi non si fermano al portafoglio: l’autonomia reale spesso è inferiore a quella dichiarata, soprattutto in inverno o con aria condizionata, e la rete di ricarica è insufficiente, con colonnine lente, guaste o concentrate solo in alcune zone urbane.

Dal punto di vista ambientale, la produzione e lo smaltimento delle batterie comportano un impatto elevato: estrazione di litio e cobalto, consumo energetico e difficoltà di riciclo rendono il “zero emissioni” più uno slogan che una realtà. A ciò si aggiungono costi di manutenzione e assicurazione spesso superiori alle aspettative, che riducono i risparmi promessi.

Senza una filiera industriale nazionale e un piano di lungo periodo, l’Italia rischia di spendere miliardi per importare veicoli e componenti, sostenendo in realtà le economie straniere più che l’economia interna.

In sintesi: una misura che nasce con buone intenzioni ambientali ma si traduce in un costo collettivo, in un mercato distorto e in un beneficio reale limitato, più vicino a un sussidio alle aziende che a una vera politica di equità e sviluppo sostenibile.


martedì 5 agosto 2025

L'Italia nel mirino: un attacco coordinato verso la recessione

Una strategia silenziosa ma efficace sta minando l'Italia dalle sue fondamenta. Gli attacchi non arrivano con i carri armati, ma con vincoli, piani economici, regole ambientali e politiche energetiche imposte dall'alto. L'obiettivo: condurre l'Italia verso una recessione sistemica, controllata e apparentemente inevitabile.

Dalla Sardegna parte l'assalto

Secondo diverse fonti, compresi analisti geopolitici e attivisti locali, la Sardegna è la regione prescelta per iniziare la demolizione del comparto agroalimentare italiano. Lì si concentrano progetti massivi di parchi eolici e fotovoltaici estesi che non si limitano a deturpare il paesaggio, ma consumano suolo fertile e modificano i microclimi. Generano riscaldamento locale, turbolenze, e rilasciano microplastiche nelle aree circostanti, effetti ambientali finora sottostimati. I territori vengono espropriati, gli alberi abbattuti, gli allevamenti – inclusi quelli di bestiame per latte e prodotti caseari – scoraggiati con normative sempre più stringenti. La Sardegna, con la sua posizione strategica e le sue risorse, è il terreno di prova perfetto.

Produzione agricola sotto attacco

Grano, olio, vino, frutta, ortaggi, latte e derivati: l’intero sistema agricolo e zootecnico nazionale è sotto pressione. L’obiettivo è chiaro: azzerare o assorbire la produzione italiana in favore di grandi gruppi multinazionali e organismi sovranazionali, già ampiamente finanziati da fondi che in passato hanno sostenuto regimi e conflitti.

Il ruolo della moneta e dei vincoli europei

L’euro, una moneta privata nelle mani di poteri sovranazionali, mantiene l’Italia ostaggio. Il sistema è progettato per collassare e ricostruirsi secondo nuovi parametri, ma il momento del crollo è quello di massimo pericolo. Da qui l'urgenza di informare, formare, resistere.

Geoingegneria e strategie climatiche sospette

Dietro le narrazioni ufficiali sul cambiamento climatico si muovono interessi economici e tecnologici. Progetti di geoingegneria, tecnologie di manipolazione atmosferica, e promozione sistematica del panico climatico sembrano giustificare l’avanzata di infrastrutture invasive come le turbine eoliche o i mega-impianti fotovoltaici. Queste tecnologie, oltre a deturpare il paesaggio, alterano i flussi d’aria, generano turbolenze, surriscaldano l’ambiente e rilasciano nell’atmosfera microplastiche dovute all’usura delle pale, con conseguenze ecologiche ancora poco studiate.

Riscaldamento globale e distorsioni dell’informazione

Anche negli Stati Uniti, il clima di disinformazione è fitto: la Climate Change and Health Initiative è stata depennata dai siti istituzionali, mentre si dedicano spazi alle teorie sulle "scie chimiche", a volte cavalcate anche da figure governative. In Italia, intanto, si legittimano operazioni che mettono in pericolo la biodiversità, l’agricoltura e la salute.

Turismo in declino e città abbandonate

Le grandi città italiane vengono svuotate dai turisti per colpa della percezione di insicurezza (borseggi, rincari, criminalità), per l'overtourism mal gestito, per il degrado delle infrastrutture, per la crescente invivibilità dovuta all’inquinamento, all’assenza di verde urbano (dovuto anche all’abbattimento sistematico degli alberi da parte dei comuni) e a una narrazione mediatica che scoraggia le visite. I problemi di trasporto, l’aumento dei prezzi, la mancanza di servizi adeguati e la difficoltà di accesso ad alcune destinazioni contribuiscono ulteriormente al declino.

Emergenza incendi e distruzione ambientale

Gli incendi, sempre più numerosi e spesso dolosi, servono da giustificazione per nuove speculazioni edilizie o per piazzare impianti energetici “green” in aree precedentemente protette. La logica è semplice: distruggi prima, ricostruisci dopo secondo un nuovo piano.

Vaccini, sanità e controllo sociale

La narrazione unica sui vaccini mRNA e i silenzi su eventi avversi contribuiscono a un clima di paura e di sfiducia crescente verso le istituzioni sanitarie. Mentre si parla di innovazione, intere filiere vengono rallentate, intere categorie di lavoratori penalizzate, spesso senza reale motivazione scientifica. La rinuncia alle cure da parte dei cittadini è in aumento, sia per motivi economici che per le lunghe liste d’attesa, mettendo a rischio la salute pubblica, specialmente nelle fasce più deboli. A ciò si aggiungono difficoltà per cittadini non UE nell’ottenere visti per cure mediche in Italia e un rafforzamento dei sistemi sanitari concorrenti all’estero.

PNRR e nuovo indebitamento mascherato

Le grandi opere finanziate dal PNRR – spesso inutili o imposte – rappresentano un nuovo indebitamento occulto. L’Italia pagherà caro queste scelte nei prossimi decenni, con tasse, austerità e svendite del patrimonio pubblico.

Italia sotto attacco commerciale e industriale

Dal 1° agosto sono entrati in vigore dazi del 15% sulle merci europee dirette negli USA. L’Italia, che considera gli USA il terzo mercato di esportazione, subirà perdite stimate fino a 22,6 miliardi di euro. Le aziende italiane, già scoraggiate da burocrazia, corruzione, incertezza normativa e assenza di meritocrazia, preferiscono investire all’estero, lasciando il Paese privo di innovazione e competitività.

L'Italia polveriera: basi NATO e instabilità geopolitica

L’Italia ospita decine di basi militari statunitensi e NATO, che la rendono un bersaglio strategico in caso di conflitto. La militarizzazione del territorio non ha portato sviluppo, ma insicurezza e dipendenza da poteri esterni. Alcuni analisti parlano apertamente di una polveriera pronta a esplodere.

Conclusione: è ora di reagire

Non è più il tempo di attendere o sperare. È il momento di agire. Informarsi, organizzarsi, condividere conoscenze. Non possiamo permetterci di delegare a chi ha già dimostrato di non volere il bene dell’Italia. È il momento di cambiare gioco e riscrivere le regole. Per noi, per i nostri figli, per il futuro.

Nota dell'autore:
Questo articolo è volutamente provocatorio e ha lo scopo di stimolare riflessioni e discussioni su temi spesso sottovalutati. Invitiamo chiunque abbia opinioni diverse o desideri portare dati alternativi a condividerli nei commenti: il confronto è il primo passo per costruire consapevolezza.

(LC)

sabato 5 luglio 2025

Eolico a Taranto: Oltre gli Annunci del Governo, le Domande Critiche su Territorio e Profitti


Con toni trionfali, la politica celebra un nuovo, decisivo passo verso il futuro "green" dell'Italia. Una nota stampa diffusa dal deputato Alessandro Colucci di Noi Moderati annuncia che "la firma del decreto interministeriale che individua negli scali portuali di Taranto e Augusta le aree idonee allo sviluppo dell’eolico offshore nazionale rappresenta un passaggio fondamentale". Nel comunicato si dipinge un quadro idilliaco: una fonte di energia dal "potenziale enorme", impianti che "hanno il grande merito di non impattare sul territorio e sul paesaggio", investimenti per 78 milioni di euro e "nuove opportunità occupazionali".
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Una narrazione ufficiale, pronta per i titoli dei giornali, che punta a rassicurare l'opinione pubblica. Tuttavia, è doveroso analizzare criticamente questi annunci, per capire se dietro la facciata si nascondano realtà complesse. Emerge infatti un quadro che, secondo molti osservatori, sembra dominato da logiche di speculazione finanziaria, con impatti ambientali spesso sottaciuti e un modello di sviluppo che tratta i territori come risorse da sfruttare.

"Nessun impatto": un'affermazione che va verificata

L'affermazione secondo cui questi giganti d'acciaio posizionati in mare "non impattano sul territorio e sul paesaggio" è forse la più ottimistica, ma anche quella che richiede maggiore scrutinio. L'impatto non si limita a quello visivo. Esiste un impatto meno evidente ma persistente. Come è intuibile, le pale eoliche, costruite con resine e fibre composite, sono soggette a una costante erosione. Il vento, la pioggia e la salsedine le possono "sfrigolare" incessantemente, con il rischio di liberare nell'ambiente microplastiche e sostanze chimiche come il Bisfenolo A (BPA), un noto interferente endocrino. Studi scientifici, come quelli condotti dall'Università di Strathclyde, hanno già sollevato l'allarme su questa potenziale forma di inquinamento silenzioso che potrebbe contaminare mare, aria e catena alimentare. Si delinea così il paradosso di un'energia definita pulita che potrebbe rilasciare sostanze inquinanti. Un aspetto cruciale che, nella comunicazione ufficiale, sembra non trovare spazio.

A chi giova l'investimento? Il gioco dei giganti finanziari

La nota stampa parla di 78 milioni di euro di investimenti. Sembra una cifra enorme, ma è solo una piccola parte di un business miliardario. Questi progetti faraonici, onshore e offshore, non starebbero in piedi un solo giorno senza due elementi chiave: i massicci finanziamenti pubblici (PNRR in testa) e il capitale dei colossi della finanza globale. Fondi come BlackRock, Vanguard e State Street sono tra i principali motori di questa transizione a livello mondiale. Essi investono dove lo Stato garantisce incentivi e profitti sicuri, ma non è sempre detto che ciò si traduca in un reale beneficio per la comunità.

Il ritorno economico per il territorio rischia di essere, nella migliore delle ipotesi, incerto e temporaneo. Queste centrali hanno una vita utile di circa 20-25 anni, al termine dei quali i costi di smantellamento e bonifica – se mai verranno affrontati seriamente – potrebbero ricadere interamente sulla collettività, molto tempo dopo che i profitti privati saranno stati riscossi e portati altrove. Il timore è che l'obiettivo non sia la sostenibilità a lungo termine, ma il profitto a breve termine, lasciando dietro di sé il "depauperamento del territorio".

Un modello predatorio che si ripete

Taranto non è un caso isolato. È solo l'ultima tessera di un mosaico che sembra replicare un modello predatorio, in espansione su tutta la nazione. Come denuncia il nostro articolo "L'assalto della Sardegna: il sistema energetico sotto inchiesta", l'isola è da anni il laboratorio di questa aggressione, con progetti che minacciano di stravolgere un patrimonio paesaggistico unico al mondo. 

Lo schema è spesso lo stesso: si invoca la "pubblica utilità" per silenziare ogni opposizione. Una volta che questa etichetta viene apposta, come spiegato nell'amaro articolo "Il territorio non è più nostro"(nostro articolo), le comunità locali rischiano di essere espropriate non solo delle loro terre, ma anche del loro diritto di decidere sul proprio futuro. 

E mentre la politica firma decreti a Roma, sul campo la gente si organizza. Comitati come Ulivivo si battono contro la distruzione di aree protette e paesaggi agricoli, mostrando una resistenza che la narrazione ufficiale tende a ignorare. Leggete il nostro articolo.

Il paradosso si estende: anche il fotovoltaico riscalda il pianeta?

Questa logica industriale non si limita all'eolico. Anche il fotovoltaico su larga scala, l'altra icona della "svolta green", nasconde delle criticità. Immense distese di pannelli scuri, sostituendo terreni agricoli o macchia mediterranea, assorbono molta più radiazione solare. Questo fenomeno, legato alla riduzione dell'"effetto albedo" (la capacità di una superficie di riflettere la luce solare), può creare vere e proprie "isole di calore", aumentando la temperatura a livello locale. Paradossalmente, una soluzione pensata per combattere il riscaldamento globale, su scala locale potrebbe contribuire ad aggravarne alcuni effetti.

Siamo di fronte a una transizione ecologica che, invece di curare il pianeta, sembra voler applicare gli stessi modelli industriali e speculativi che ci hanno portato a questa crisi. Ci dicono che è innovazione, ma a molti sembra solo vecchio colonialismo energetico. La domanda, dunque, non è essere a favore o contro le rinnovabili. La domanda è: a chi giova realmente questa transizione? Perché, a guardare bene, i profitti sembrano destinati ai soliti noti, mentre i costi ambientali e sociali restano, come sempre, a carico di tutti noi.

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